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Yasmin Brandolini d’Adda nasce a Città del Capo (Sud Africa) nel 1929 e muore a Milano nel 2012. A Milano, dopo un’interruzione durata vent’anni, ricomincia a dipingere all’inizio degli anni ’70.

Le sue prime opere degli anni ’70 rimangono figurative, ma già contengono la spinta verso quell’astrazione (materica, cromatica e sensuale) che più tardi connoterà la sua pittura. I suoi temi più frequenti sono paesaggi e nudi femminili (in pose che dimostrano la perfetta armonia e circolarità del corpo umano), e più in generale tutte quelle forme prese in prestito dalla natura che sono già in sé stesse astratte. Le sue tecniche prefeite (incisioni, acquerelli, collages) impongono velocità e intuizione, e nessun ripensamento. Non usa mai la pittura ad olio.

Gradualmente, i suoi quadri subiscono un processo di depurazione interna, a cui corrisponde una complessa semplificazione formale. Si va dai collage dalle tonalità scure (viola, marroni) della fine anni ’70 che portano il nome di “Tombstones”, alle opere dal sapore più decorativo dei primi anni ’80 che nascondono inaspettate simmetrie, fino ai lavori praticamente monocromatici dell’ultimo periodo (tempere dai colori rossi, blu, gialli, rosa e a volte verdi, perlopiù su carte di grande formato fatte a mano). Nel suo vocabolario, ricorrono alcune forme iconiche: seni, uova, linee dell’orizzonte, cerchi, sfere, archi, lame, lune, spruzzi.

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Le installazione che Yasmin Brandolini d’Adda realizza per spazi specifici negli anni ’80 e ’90 si impongono per la loro effimera monumentalità; composte da fogli di carta sciolti, celebrano l’essenza della tecnica dell’affresco. La sua visione trasforma spazi geometrici di matrice rinascimentale: la Casa del Mantegna a Mantova, il Palazzo dei Diamanti a Ferrara, la Casa del Giorgione a Castefranco Veneto, il Teatro Sociale a Bergamo, e infine la Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia nel 2001. Su un registro opposto ma complementare, lavorò ripetutamente fino all’ossessione a progetti a una scala minuta, producendo preziosi taccuini, libretti e cartelle di incisioni (spesso in collaborazione con poeti, musicisti e scrittori); questi vanno interpretati come breviari, o come diari nei recessi della mente umana.

Renown critics commented on her work, such as Dino Buzzati, Gillo Dorfles, Flavio Caroli, Giuseppe Marchiori, Carlo Bertelli.